Political Essay – Credibilità e consenso

di Franco Astengo – Il nodo della riforma riguardante la legislazione del lavoro (articolo 18 e dintorni, tanto per intenderci) sta dimostrando, se ma ce ne fosse stato ancora bisogno, tutte le difficoltà che incontra il sistema di relazioni tra le istituzioni, il quadro politico, le forze sociali e i cittadini ,dimostrando così l’assoluta insufficienza di credibilità e di capacità di promuovere consenso da parte dei cosiddetti “corpi intermedi” che dovrebbero funzionare da “ponte” tra le diverse parti che abbiamo appena elencato.

È risultato emblematico, sotto quest’aspetto, l’esito dell’incontro, svoltosi giovedì scorso, tra il Presidente del Consiglio e i tre segretari dei partiti che lo appoggiano in Parlamento: un esito che possiamo ben definire, dal punto di vista della capacità dei soggetti interlocutori del Presidente del Consiglio, di promuovere consenso nel paese fornendo insieme un esempio di autorevolezza sulle scelte, come “acqua fresca”.

Insomma: i tre protagonisti se li sono filati davvero in pochi. Neppure nel Parlamento dei “nominati” il risultato dell’incontro è risultato particolarmente apprezzato, tanto è vero che, in aula, sui punti specifici dei provvedimenti via, via, in discussione, si moltiplicano le iniziative personali o di piccolo gruppo, con il governo che, per l’appunto, va “sotto” per via del peso di “avvertimenti “ di varia natura, in un processo che, dalla personalizzazione sta scivolando verso una sorta di atomizzazione dei micro-interessi che pare il dato dominante dell’attività parlamentare.

Egualmente in ambasce risultano i soggetti più o meno rappresentativi delle diverse realtà sociali, in forte fibrillazione al loro interno (si veda l’esempio della CGIL) e rispetto alle proprie basi sociali: ormai appare saltata anche l’idea dell’esercizio della concertazione ed anche di una sorta di neo-corporativismo.

Sono troppo forti gli effetti della crisi, e troppo evidenti le diseguaglianze sociali per mettere un minimo d’ordine al sistema di relazioni sociali e sindacali nel Paese (un ordine che pare ormai stare soltanto nell’antiquato schema delle “firme separate” che avevano ancora in testa i segretari di CISL e UIL).

Effetti della globalizzazione, della crisi dell’Europa, della disgregazione del sistema politico, mentre i problemi del Paese si aggravano a vista d’occhio, almeno dal punto di vista dei lavoratori, dei giovani, dei disoccupati, dei pensionati, delle donne costretti a pagare prezzi altissimi e vessati anche da provvedimenti ingiusti e punitivi (si pensi alla vicenda de limite dei 1000 euro pagabili in contanti, per i pensionati: assurdità spacciate per provvedimenti seri).

In realtà manca il coraggio di un bilancio serio della situazione italiana, di un bilancio vero del disastro che si è realizzato nel corso degli ultimi vent’anni di governo del Paese.

Alcuni aspetti appaiono essere i più gravi, in questa direzione: siamo passati da un governo di destra populista a un governo di destra tecnocratica, con un arretramento secco sul piano dell’esercizio della democrazia.

In secondo luogo è apparso del tutto insufficiente il contrasto “vero” (non nominalistico) al riguardo delle forze organizzate della criminalità che continuano a detenere il monopolio del potere in ampie zone del paese proseguendo anche nell’antica opera d’infiltrazione in altri settori: su questo punto l’allarme lanciato circa le infiltrazioni mafiose all’interno degli appalti delle grandi opere appare pienamente giustificato ma, nessuno, pare seriamente occuparsene salvo le popolazioni direttamente toccate.

Al terzo punto l’arretramento nelle condizioni materiali di vita, di consumo, di prospettiva per la gran parte delle masse popolari: parlano le cifre del potere d’acquisto, della disoccupazione, dell’aumento del divario tra le diverse aree del Paese.

Al quarto punto (ma non certo in ordine d’importanza) la “questione morale” come “questione politica”: un tema che sta tragicamente, davvero tragicamente, all’ordine del giorno. Una “questione morale” intrecciata a una “questione morale” di cui il caso Lusi appare l’elemento di maggiore gravità, non comparabile con quelli legati alle tangenti, perché si tratta di un caso che tocca al cuore il sistema, proprio dal punto di vista di quella credibilità che cercavamo di indicare all’inizio, sul terreno di un finanziamento della politica che appare del tutto esagerato sul piano quantitativo (cifre che davvero stanno al di fuori di qualsivoglia considerazione possibile di merito) sia sul piano della permeabilità alle scorribande più incredibili, sia ancora dal punto di vista dell’incomprensibile permanere sul libro paga di tutti noi, di soggetti che – a detta dei loro stessi esponenti – avevano già esaurito da tempo la loro funzione.

Esaminiamo ancora alcuni aspetti nel dettaglio: l’Italia è priva, ormai da decenni, di una qualche parvenza di struttura industriale avendo rinunciato, nei campi decisivi di questo altrettanto decisivo settore, a promuovere riconversione e innovazione scientifico-tecnologica; le condizioni concrete di sanità, trasporti, scuola, Università, Pubblica Amministrazione, beni culturali sono del tutto al di sotto delle esigenze dei cittadini e, nel complesso, di un Paese moderno; la pressione fiscale è ormai insopportabile ed esercitata su settori limitati della popolazione (anche attraverso meccanismi del tutto punitivi) mentre ampie porzioni di attività economiche di diverso tipo, in particolare legate alla già citata criminalità organizzata, realizzano cifre imponenti di evasione; sono state spacciate bufale clamorose da parte di tutti i governi succedutisi negli ultimi 20 anni: il maggioritario come panacea di tutti i mali attraverso la semplificazione (pensate un po’) del sistema politico, la chimera del federalismo, la regionalizzazione (disastrosa) di sanità e trasporti, la separazione incauta tra politica e amministrazione con un risultato di reciproca deresponsabilizzazione. Soltanto per fare alcuni esempi.

Inoltre si è voluto far credere che la liberalizzazione delle farmacie e dei taxisti (in ogni caso non realizzate) e l’aumento del numero dei notai avrebbero spinto l’economia del Paese alla crescita.

Così come si indicano in presunti privilegi da smantellare, privilegi che manterrebbe la classe operaia più spremuta e colpita nei diritti d’Europa, un’altra origine di tutti i mali.

Questo punto appena richiamato ci suggerisce, in chiusura, un pensiero riguardante, da un lato il fatto che la personalizzazione ha finito, sicuramente, con l’abbassare il livello culturale nella politica a tutti i livelli, oppure dall’altro a suscitare arroganza e disprezzo per i problemi delle persone considerate “comuni” e, di conseguenza valutate come “sudditi” e non più “cittadini”.

Servirebbe un contrasto forte a questo stato di cose e una proposta di alternativa: all’orizzonte però non ci pare di intravedere né l’uno, né l’altra.

* Franco Astengo – Savona, politologo