Il caso Banksy e l’arte contemporanea

di Alfredo Sgarlato – Cos’è l’arte? Se ne discute da secoli: il bello classico, cioè la perfezione delle forme. Il sublime romantico, cioè il generare forti emozioni, con tutti i limiti del caso: generare odio o disgusto, come gli epigoni di Von Trier, è arte? Quindi l’arte esclusivamente come opera di un autore, arrivando a Duchamp e Manzoni che firmano un cesso o la cacca. Oggi si parla di un impossibilità di valutare l’arte coi dati sensoriali, per cui essa diventa filosofia, capacità di creare concetti, dimenticando che la filosofia stessa, non potendo aspirare alla totale soggettività dell’arte, né all’oggettività della scienza, si situa in un pericoloso limbo.

I maligni commentano che oggi molti artisti sono solo il prodotto di un corto circuito gallerista- compratore-riflesso mediatico, e hanno ragione: qualcuno si sarebbe accorto di alcuni degli artisti più strapagati, vedi Damien Hirst, se non si fosse messo in moto questo circuito? Oppure si intende l’arte come provocazione, seguendo la teoria di Deleuze per cui è arte ciò che fa riflettere. Ma in un mondo in cui i capi di governo raccontano barzellette di pessimo gusto si possono ancora pensare provocazioni che non cadano nel vuoto?

Una via c’è, anzi proprio una strada: la “Street Art”. Non c’è ormai dubbio che tra i maggiori artisti del finale del secolo scorso ci siano gli autori di graffiti Keith Haring e Jean Michel Basquiat. Oggi uno dei candidati al titolo di maggior artista vivente è senz’altro l’inglese Banksy. Di lui non si sa nulla se non che è nato a Bristol nel 1974 o ’75. Il suo volto è sconosciuto, anche perché la street art, cioè i disegni sui muri, è reato.

Ecco una provocazione che non cade a vuoto: come si può seriamente sostenere che un’opera di Banksy deturpa un muro e una pubblicità no? E che non siano proprio certi muri a deturpare le città (fermo restando che si parla di periferie ed ecomostri, non di edifici storici)? Banksy fa di più: crea opere che aggiunge di nascosto a quelle dei musei. Regalando invece di rubare annulla il circuito di cui sopra, delegittimando inoltre il mercato dell’arte, che sta alla base di molti falsi miti. Le opere di Banksy hanno spesso contenuto politico e il luogo scelto aggiunge valore all’opera, vedi gli stencil realizzate in Cisgiordania. In breve, un artista venuto dal nulla, che rifiuta la gloria e la ricchezza, le cui opere hanno forma e contenuto. Un artista perfetto qualunque teoria si voglia seguire.

P.S. Queste riflessioni mi conducono ad altre. Pensavo alle polemiche seguite alla rappresentazione teatrale “Sul concetto di volto nel Figlio di Dio” di Romeo Castellucci, accusato di essere blasfemo da persone che sicuramente non l’hanno vista. Aldilà della singola opera, che andrebbe giudicata solo come bella o brutta, non secondo criteri ideologici, l’arte può essere blasfema? Secondo i musulmani lo è per natura, perché solo Dio è creatore. Anche Fellini la pensava così perché, diceva, fare arte è sfidare Dio sul suo stesso terreno. Vincendo, perché anche l’ultimo degli artisti può immaginare un mondo dove Hitler si pente in tempo, fatto che nella realtà non è successo. Allora prendiamo l’arte come il prodotto dell’ingegno umano, e allora rispettiamola sempre, perché come dice il critico cattolicissimo Farinotti: niente è peggio della censura.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato

2 Commenti

  1. Conteniamo i nostri moti di stizza, le nostre “censure”, e volgiamoci al bello: Haring e Basquiat mi rincuorano, chissà questo Bansky per cui già faccio il tifo…?!

  2. D’accordissimo su quanto hai scritto Fred; mi sa che ho visto parte di documentario su Banksy questo inverno, un artista che tiene sempre il cappuccio della felpa alzato.

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